Passano gli inverni ma il sergente rimane nella neve

Marco Paolini ne "Il sergente" dal romanzo di Mario Rigoni Stern


Invito a cena col nemico.


I gerarchi sono al caldo, e tu sergente congeli nella neve.


Della temperatura ti risultano familiari solo le cifre, peccato ci sia un segno meno di troppo. Con quel freddo anche i pensieri sono bloccati, gelati ancora prima di formularli.
Ma la fame si, quella la senti. Viva, che si torce come un animale selvatico dentro di te.


E allora quando barcolli nella neve bolscevica da un numero imprecisato di ore, con quella bestia che ti morde lo stomaco e ti amputa le gambe, nessuna abitazione ti sembra nemica.


Non temi canne puntate, ma solo un camino spento o la morta desolazione dentro.


Sembra la mano di un altro da te quella che bussa alla porta graffiata dal vento.


Ti aprono due occhi chiari annegati nelle rughe, sotto un fazzoletto legato.


Non chiede, sa quello che vede.


Ti fa segno di entrare.


Batti i piedi fasciati sulle assi del pavimento senza alzare gli occhi, cullato come un bambino dall'odore della minestra.


Qualcuno ti fa spazio sulla panca scorrendo e stringendosi.
Senti gli occhi su di te, ma tuffi fame cucchiaio e bocca nel piatto di brodaglia densa e dolciastra, nel quale galleggiano solo pezzi di rapa.


Pochi secondi, nemmeno un minuto e vedi il fondo del piatto. Troppo bianco, come l'inferno che ti sei lasciato alle spalle.


Prendi fiato, lo sterno s'innalza e così le spalle e lo sguardo.


Accanto a te altri volti di militari. Solo la divisa è di un altro colore.

(Roberto Celani)

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